
Dal caso Mahsa Amini a oggi
Nel 20222, l’arresto di Jina Mahsa Amini da parte della polizia morale per un presunto “abbigliamento improprio” e la sua morte in custodia hanno scatenato proteste in tutto il Paese sotto lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Organismi internazionali e ong per i diritti umani stimano centinaia di morti e migliaia di arresti nella repressione, con processi sommari e condanne draconiane contro manifestanti e attivisti.
Da allora, il velo è diventato il terreno quotidiano della contestazione. Molte donne – soprattutto nei centri urbani – hanno iniziato a circolare a capo scoperto: non solo nelle proteste, ma nella vita di tutti i giorni. Il rapporto della Fact-Finding Mission delle Nazioni Unite del 2024 sottolinea come, nonostante la stretta repressiva, la pratica del non indossare il velo in spazi pubblici sia diventata una forma diffusa di resistenza, in particolare tra le generazioni più giovani.
Un diritto ambiguo
Sul piano legale l’obbligo del velo è sancito nel codice penale e in una fitta stratificazione di regolamenti, ma la battaglia degli ultimi anni si è concentrata su un nuovo pacchetto legislativo, la cosiddetta legge su “Castità e Hijab”, che rafforza sanzioni e strumenti di controllo. Nel 2024 il parlamento dominato dai conservatori ha approvato una versione particolarmente dura del testo, prevedendo multe pesanti, restrizioni bancarie, divieti di accesso a servizi e perfino sanzioni contro esercizi commerciali che servano donne senza velo.
La legge è stata avallata dal Consiglio dei Guardiani a settembre 2024, ma il suo percorso di attuazione è diventato terreno di scontro con il presidente Masoud Pezeshkian, eletto l’anno successivo con un mandato riformista e critico verso l’eccesso di repressione. Pezeshkian ha tentato di bloccare o sospendere l’entrata in vigore delle norme più draconiane, arrivando a usare in modo estensivo i margini procedurali e a chiedere il coinvolgimento degli organi di sicurezza per una revisione.
La nuova infrastruttura della repressione
L’episodio di Kish non va isolato dalla crescente “tecnologizzazione” del controllo sul velo. Un rapporto delle Nazioni Unite e inchieste giornalistiche del 2025 documentano l’uso esteso di telecamere di sorveglianza, sistemi di riconoscimento facciale, droni e applicazioni digitali per identificare donne che non indossano l’hijab, con successivi sms di ammonimento, multe automatiche e convocazioni in commissariato.
