Tassi di nuovo vicini al 4% e aste più care. Il Tesoro italiano ha sperimentato per la prima volta sulla propria pelle gli effetti del cambio di direzione epocale impresso ai listini obbligazionari dalla doppia svolta della scorsa settimana sulla politica fiscale in Europa. L’annuncio del lancio del programma ReArmEU, con i suoi 800 miliardi di euro di spese per rafforzare la sicurezza continentale da finanziarsi sia a livello comunitario sia nazionale, unito alla proposta di sospensione del limite al debito per le spese militari e all’istituzione di un fondo straordinario da 500 miliardi per le infrastrutture da parte della Germania, ha infatti provocato uno spostamento parallelo al rialzo della curva dei tassi sovrani per tutti i Paesi dell’area euro.
Verso nuovi equilibri
I Bund hanno quindi ulteriormente allargato fino a 15 punti di base il divario nei confronti del tasso Irs, il tasso swap che sui mercati europei recita il ruolo di attività priva di rischio, e si sono portati ormai vicino alla soglia del 3% sulla scadenza dei dieci anni. Una sorte alla quale non si sono potuti sottrarre i BTp che, pur mantenendo sostanzialmente invariate le distanze con i titoli tedeschi attorno ai 110 punti base, hanno visto i rendimenti tornare a tiro di quel 4% che manca dai monitor degli operatori dal luglio dello scorso anno.
E se è vero che non si tratta di un fenomeno circoscritto al nostro debito pubblico, resta tuttavia evidente come a scontare il nuovo scenario siano in definitiva le casse dello Stato. Gli effetti sono apparsi subito chiari dalle aste di metà mese effettuate proprio in questi giorni: non tanto sui BoT annuali collocati per 9 miliardi due giorni fa a un tasso lordo del 2,337% di un centesimo superiore al mese precedente, quanto sui titoli a medio lungo termine piazzati ieri.
Il dettaglio delle aste
Sul mercato sono infatti finiti BTp con scadenze varie comprese fra 3 e 30 anni e diverse tipologie (compreso un green bond) per complessivi 8,25 miliardi, ma con un denominatore comune: i tassi sono saliti in tutti i casi rispetto alle operazioni effettuate in precedenza. Il nuovo benchmark triennale è stato per esempio collocato al 2,77%, cioè 25 centesimi in più, mentre per le altre riaperture di titoli a 15 e 30 anni e per il BTp Green i rendimenti a scadenza si sono attestati rispettivamente al 3,72%, 4,70% e 3,40 per cento.
La domanda da parte degli investitori non è certo mancata, come di consueto, ma l’elemento di per sé incoraggiante non può far dimenticare quello che in prospettiva può rappresentare un problema: i maggiori oneri da sostenere per finanziare le casse dello Stato. Finora la fase tutto sommato favorevole attraversata dai mercati aveva permesso al Tesoro di contenere al 3,11% il costo medio dei titoli italiani a partire da inizio gennaio. Un valore, questo, inferiore al 3,41% dell’intero 2024 o al picco del 3,76% registrato l’anno precedente, che rischia però di tornare a crescere proprio a causa del nuovo scenario.