«È giunto il momento», e qualcuno sui mercati aggiungerebbe volentieri la parola «finalmente». Nell’atteso appuntamento di Jackson Hole il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, non è stato certo prodigo sulle indicazioni di politica monetaria, ma ha lasciato chiaramente intendere che nella prossima riunione del 18 settembre la Banca centrale Usa tornerà a tagliare i tassi di interesse. Tanto è bastato per innescare una reazione immediata favorevole fra gli investitori, corsi subito ad acquistare azioni e obbligazioni, penalizzando il solo dollaro.
Che l’orientamento generale delle Banche centrali mondiali sia particolarmente espansivo è fuori dubbio. Al momento il saldo tra operazioni di aumento e riduzione dei tassi operate su scala globale da gennaio è infatti largamente a favore di quest’ultime: sono 84 finora, ma se ne attendono almeno altre 40 che potrebbero trasformare il 2024 nel terzo anno più sbilanciato in tal direzione dopo il 2009 e il 2020 e con una tendenza diametralmente opposta ai precedenti.
Taglio per «scelta» o «necessità»?
In passato il comportamento sui listini finanziari non è però stato sempre univoco all’avvio di un ciclo monetario espansivo della Fed, quando si parla di azioni e ancor più di bond. Molto dipende dal motivo per cui Washington passa all’azione: se si tratta di un taglio determinato dalla «scelta», susseguente a una riduzione del tasso di inflazione; oppure dalla «necessità» di contrastare una recessione ormai inevitabile. E questo non è ancora del tutto chiaro agli esperti.
Gli analisti di BofA Securities avvertono per esempio che la storia insegna come raramente la prima sforbiciata della Fed abbia dato origine a un travaso di denaro verso l’azionario. La mossa espansiva è stata anzi accompagnata da uno spostamento di flussi verso quei fondi monetari che già sono al record storico nel caso di un atterraggio «morbido» dell’economia, oppure a vantaggio delle obbligazioni quando si è invece andati verso una dura recessione.
Come cambia il premio al rischio
Certo, la stessa BofA appare moderatamente ottimista sulle Borse, quando pensa che una generale riduzione dei rendimenti obbligazionari Usa reali a lungo termine – ovvero il tasso di sconto privo di rischio – possa automaticamente rendere più attraenti le azioni, la cui convenienza in termini relativi si valuta anche attraverso questo parametro. Qui però si apre una nuova questione: capire se davvero i rendimenti diminuiranno anche sulle scadenze più lunghe in corrispondenza di un taglio dei tassi americani.