AMMAN – «Dalla scorsa notte (lunedì, ndr) stiamo monitorando attentamente il brutale e aggressivo bombardamento israeliano sulla Striscia di Gaza. È in corso un attacco contro l’umanità che va immediatamente fermato». È tutt’altro che frequente ascoltare un ministro del Governo giordano assumere toni così forti e critici nei confronti di Israele. La violazione della tregua firmata a Doha il 17 gennaio tra Israele e Hamas ha provocato una forte reazione di condanna anche in un Paese, come la Giordania, che intrattiene solidi rapporti diplomatici e commerciali con Israele, con cui ha firmato nel 1994 uno storico accordo di pace. La posizione ministro dell’Informazione Mohammad al-Momani, nonché portavoce del Governo, è ferma e chiara: «La Giordania continua ad essere impegnata nel suo sforzo diplomatico. Non c’è alternativa alla soluzione dei due Stati. Se non si concede ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione questo conflitto è destinato a durare».
Ministro, cosa ci dice sulle relazioni tra Giordania e Stati Uniti? Trump ha più volte proposto di evacuare la popolazione di Gaza minacciando di sospendere gli aiuti se non accoglierete insieme all’Egitto i rifugiati. Re Abdullah ha fermamente respinto la proposta.
Le nostre relazioni strategiche con gli Stati Uniti sono forti e permettono un confronto franco e amichevole. La nostra collaborazione si articola su diversi fronti. Riguardo alla questione degli aiuti, gli Usa hanno annunciato che stanno rivedendo i loro programmi in tutto il mondo. Hanno utilizzato il termine “pausa”. Come sapete, i Paesi non danno aiuti se non hanno interessi nazionali. Riteniamo che l’importanza strategica della Giordania sia preziosa per la Comunità internazionale e per la stabilità regionale. Abbiamo ricevuto segnali dagli americani sulla ripresa dell’assistenza per il nostro settore idrico. È un segnale positivo. Voglio però sottolineare che noi abbiamo un piano arabo per la Striscia di Gaza: il piano egiziano. Rappresenta il punto di partenza ed il quadro di riferimento per affrontare la situazione a Gaza. Continuiamo a sostenere con forza i negoziati, perché la soluzione ad una pace duratura è una soltanto: la creazione di uno Stato palestinese. Non sto parlando di un esercito dotato di una flotta di caccia F 16 e carri armati. Sto parlando di uno Stato con almeno due condizioni di partenza: che sia sostenibile e in grado di vivere in modo indipendente. E che sia nelle condizioni di poter conferire la cittadinanza ai suoi abitanti. Molti Stati nel mondo hanno riconosciuto la Palestina come uno Stato, inclusi alcuni europei. L’ultimo passo che deve essere compiuto per il riconoscimento come Stato sovrano è l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu.
Qual è invece la vostra opinione sul ruolo diplomatico esercitato dall’Europa in merito alla guerra in corso nella Striscia di Gaza?
L’Europa può e deve fare molto di più. Non solo per la vicinanza geografica, ma anche per i legami storici con questa parte del Medio Oriente. Sono convinto che l’Europa comprenda l’importanza della stabilità di questa regione, anche nell’interesse della sua stabilità. La guerra civile siriana provocò l’emergenza rifugiati (2015, ndr) . L’Europa fu molto più attiva allora anche in questa regione di quanto non lo sia ora. Quanto al piano di Trump ripeto: non accettiamo che i palestinesi siano evacuati da Gaza. Il nostro sistema di valori si fonda sulla generosità e sull’accoglienza, ma non intendiamo ospitare nuovi rifugiati.