Emmanuel Macron ha detto no. Il presidente francese, che sta cercando di scegliere un primo ministro che non sia schiacciato in pochi giorni da un voto di censure, di sfiducia, dell’Assemblée, ha respinto la richiesta del Nouveau front populaire di nominare Lucie Castets e aprirà oggi nuovi consultazioni dopo quelle formali che si sono chiuse ieri.
«Stabilità istituzionale»
Il «no» è arrivato per considerazioni di «stabilità istituzionale». Il presidente ha quindi invitato il Nfp a «cooperare con le altre forze politiche». «La mia responsabilità – ha aggiunto il presidente – è che il paese non sia né bloccato né indebolito. I partiti politici di governo non devono dimenticare le circostanze eccezionali delle elezioni dei loro deputati al secondo turno delle legislative». Un richiamo, questo, finora usato molto dal Nfp nei colloqui con il presidente: ricorda come molti deputati del centro e della destra siano stati votati con il sostegno della sinistra, e viceversa.
Il passo indietro di Mélenchon
Macron cerca così di uscire dall’impasse che si è creata negli ultimi giorni dedicati, finite le Olimpiadi e la pausa estiva, alle consultazioni con partiti e presidenti delle due camere (il Sénat vota le leggi ma non può sfiduciare il governo). La France insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélanchon, con una mossa imprevista, ma molto calcolata, ha infatti preso atto dei veti dei potenziali alleati – i centristi dell’area macroniana, la destra repubblicana – e ha dato la sua benedizione a un governo guidato dal Nfp senza la sua partecipazione.
Il rafforzamento della sinistra
Lfi ha fatto quindi cadere una grande pregiudiziale nei confronti di un governo a guida progressista, può far sentire la sua voce – ha comunque promesso il sostegno parlamentare – e può nello stesso tempo mantenersi “puro” dagli inevitabili compromessi sul programma che una sua ipotetica partecipazione al governo avrebbe imposto. Per Mélanchon, radicale ma profondamente politico, sarebbe il miglior esito possibile. Ha inoltre messo in difficoltà Macron, come rivelano le parole del primo ministro dimissionario Gabriel Attal, che ha parlato di un «simulacro di apertura» e di un «tentativo di colpo di mano». Il passo indietro di Mélenchon ha inoltre messo l’Nfp in condizione di essere più rigido sul programma, e non a caso Attal si è detto indisponibile all’«applicazione unilaterale del solo progetto di Lfi e del Nfp».