Northvolt, Ue esposta per 300 milioni. E Vw svaluta la partecipazione

La recente richiesta di protezione dalla bancarotta negli Stati Uniti (chapter 11) da parte di Northvolt, il produttore svedese di batterie, ha acceso un faro sulle difficoltà che l’Europa incontra nel costruire una catena del valore autosufficiente per la transizione energetica. Northvolt era considerata una pedina fondamentale nella corsa alla decarbonizzazione, ma ha accumulato debiti per oltre 5 miliardi e sta tentando di riorganizzarsi, a cominciare dal cambio al vertice, con le dimissioni del ceo e cofondatore Peter Carlsson. La Commissione Europea, sostenitrice di lungo corso del progetto, ha ribadito il proprio impegno nel rafforzare un ecosistema industriale competitivo, ma il caso solleva interrogativi sull’efficacia delle strategie attuali e sulla sostenibilità di modelli di crescita così ambiziosi a fronte di una concorrenza asiatica (Cina, Corea del Sud, Giappone) che domina la top ten globale.

Unione europea esposta per 313 milioni

Johanna Bernsel, portavoce della Commissione Ue per il mercato interno, ha sottolineato che l’Unione è esposta per 313 milioni di dollari tramite prestiti garantiti dal Fondo europeo per gli investimenti strategici. Nonostante gli sforzi dell’Alleanza Europea sulle Batterie (che comprende, tra gli altri, il consorzio Acc di Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies) la frenata della domanda di auto elettriche nel 2024 ha imposto un rallentamento delle operazioni. FIno a due anni fa Benchmark Minerals stimava che entro il 2030 l’Europa potesse arrivare a sviluppare una capacità produttiva di circa 790 GWh (oggi il numero uno del mondo, la cinese Catl, ha una capacità di 170 GWh) attraverso la realizzazione di gigafactory per la produzione di batterie. Una capacità sufficiente per assemblare quasi 15 milioni di veicoli elettrici.

Attualmente sono previsti progetti per 27 gigafactory da parte di 18 aziende diverse. Tra queste, molte sono joint venture tra case automobilistiche e produttori di componenti di batterie. Ma le tempistiche si sono dilatate e il collasso di Northvolt, che ha preso il via lo scorso giugno quando Bmw ha cancellato un ordine da 2 miliardi, mette un punto interrogativo sulla fattibilità di queste iniziative, soprattutto in un contesto di mercato in rapida trasformazione.

Volkswagen e l’impatto della crisi di Northvolt

Il gruppo Volkswagen, maggiore azionista di Northvolt con una quota del 21%, è tra i protagonisti più colpiti dalla crisi dell’azienda svedese. Il primo produttore automobilistico europeo ha progressivamente svalutato la propria partecipazione (al 2021 aveva investito in tutto 1,4 miliardi di euro), che a fine 2023 valeva 693 milioni, già un calo del 25% rispetto all’anno precedente. Nel 2024, la situazione è peggiorata ulteriormente, riflettendo i problemi di produzione di Northvolt e la domanda di veicoli elettrici in Europa meno robusta del previsto. Ma c’è da aggiungere che Vw ha preso le distanze, operativamente parlando, dalla sua partecipata svedese. Il colosso tedesco ha scommesso sempre più sulla sua controllata PowerCo, in joint venture con l’azienda belga Umicore. Questa joint venture è stata annunciata nel 2022 e prevede un investimento di 3 miliardi di euro per produrre materiali chiave per le batterie in Europa. L’obiettivo è raggiungere una capacità annuale di 160 GWh entro la fine del decennio, sufficiente per alimentare circa 2,2 milioni di veicoli elettrici all’anno. Inoltre lo scorso luglio il colosso Vw ha siglato un accordo con Quantumscape, base a San José (California) per realizzare batterie al litio-metallo allo stato solido, pari a una capacità di 40 e fino a 80 GWh.

Volkswagen, pur prevedendo per il 2024 un margine operativo del 5,6% e un flusso di cassa netto di 2 miliardi di euro, non ha commentato direttamente l’impatto finanziario della bancarotta. Tuttavia, la svalutazione evidenzia le incertezze del settore e solleva dubbi sull’efficacia di investimenti così ingenti in un panorama industriale instabile.

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