Green Bond, rivoluzione incompiuta. È la Ue il «grande assente»

Uno strumento dalla funzione essenziale per le politiche legate alla sostenibilità di chi lo emette e di sicuro al centro dell’interesse degli investitori, ma che ancora non riesce a sfondare sui mercati come sarebbe forse lecito attendersi. È un bilancio ancora in chiaroscuro quello che si può tracciare per i green bond europei alla luce delle dinamiche fotografate dalla Bce alla fine dello scorso anno. Sulla carta i titoli obbligazionari utilizzati per progetti ambientali rappresentano ancora la parte di gran lunga preponderante della più ampia categoria del debito sostenibile (comprendente anche social, sustainable e sustainable-linked bond) con una quota pari al 65% dei circa 1.400 miliardi di euro di un mercato che è più che triplicato dalla fine del 2020.

Le emissioni sul mercato

Quando però si considerano i soli green bond collocati dai governi dell’Eurozona si scopre un mondo che procede più a rilento. A sottolinearlo è un’analisi condotta da Intesa Sanpaolo, all’interno della quale si ricorda che il 2023 si è concluso con un valore di circa 60 miliardi di obbligazioni legate a temi ambientali collocate sul primario ad opera di enti sovrani dell’area euro, che è solo leggermente superiore ai 50 miliardi dell’anno precedente. Il 2024 è iniziato sulla falsariga, con lo stesso andamento lento ed emissioni per 15 miliardi nei primi due mesi, mentre la proiezione per l’intero anno è di un incremento «modesto» fino a 66 miliardi. 

Il rialzo dei prezzi energetici conseguente alla crisi del 2022 ha comportato un aumento del costo delle energie rinnovabili che ha incentivato i governi a posticipare gli investimenti in progetti ambientali

A una prima fase di rapida crescita fra il 2019 e il 2021 (quando l’offerta è cresciuta da 20 a 50 miliardi) si è insomma succeduta una sostanziale stabilizzazione determinata da diversi fattori. «Il rialzo dei prezzi energetici conseguente alla crisi del 2022 ha comportato un aumento del costo delle energie rinnovabili che ha incentivato i governi a posticipare gli investimenti in progetti ambientali», spiega Federica Migliardi, strategist sul reddito fisso di Intesa Sanpaolo, rilevando inoltre come la stretta sui tassi delle Banche centrali lo scorso anno abbia determinato «un calo degli investimenti come conseguenza dell’inasprimento degli standard creditizi che ha colpito in misura maggiore gli investimenti in energie pulite».

Il nodo normativo

Occorre poi considerare un ulteriore elemento normativo legato all’introduzione da parte dell’Unione Europea della Recovery Resilient Facility che prevede che il 37% delle risorse dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) venga destinata in progetti climatici e rappresenta di fatto una fonte alternativa di finanziamento dei progetti ambientali per i governi. «Le due fonti di finanziamento sono complementari: maggiori sono i fondi Ue allocati in progetti climatici e minori sono le spese finanziate tramite green bond», conferma Migliardi che collega proprio all’incidenza di quest’ultimo fattore le attese per una crescita limitata dell’offerta nel 2024. «Gli Stati dovranno accelerare l’implementazione dei Pnrr per garantire l’erogazione dei fondi Ue, che andranno quindi a contenere le esigenze di finanziamento attraverso obbligazioni legate all’ambiente» spiega l’analista, introducendo in questo modo indirettamente un ulteriore elemento chiave: quello del ruolo della stessa Commissione europea come emittente.

La Ue «grande assente»

La Ue è destinata in teoria a diventare il primo emittente sovranazionale di green bond visto che il 30% dei fondi relativi al programma Next Generation Eu verrà finanziato tramite emissioni verdi, ma nella pratica figura ancora come il «grande assente» del mercato: al suo attivo ha finora green bond per appena 48 miliardi e nel 2024 non ha ancora effettuato alcun collocamento di questo tipo. L’ostacolo è legato anche in questo caso al tema delle procedure, proprio perché il fattore principale che influenza le emissioni di Eurobond è il livello di implementazione dei Pnrr da parte degli Stati Membri, che procede non certo con passo spedito. Solo la Francia ha infatti completato il 73% degli obiettivi, mentre in media i 26 paesi hanno raggiunto una percentuale molto bassa, pari al 20%, condizionando così anche i progressi del programma di funding Ue. Un recupero delle emissioni nella seconda parte dell’anno è da mettere in conto, ma non è detto che sia sufficiente a colmare il divario: «l’obiettivo di 50 miliardi per il 2024 è ottimistico – ammette Migliardi – e ci attendiamo la realizzazione di un’offerta pari a 25 miliardi».

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